La letteratura ci regala personaggi di volta in volta diversi, peculiari, e Pereira, redattore della pagina culturale del giornale Lisboa, esce dalla mente e dalla penna di Antonio Tabucchi con la potenza e la determinazione di chi, bucando le pagine, spunta dal romanzo e resta vivo, definito, al di là la narrazione. Lui, Pereira, che riflette sulla morte e sul suo essere cattolico ci lascia un ricordo di sé così vitale da farci dimenticare a tratti di avere a che fare col personaggio di un romanzo, di avere voglia di interpellarlo per un confronto o solo prenderlo come riferimento esemplare per la sua capacità di elaborare una riflessione finalizzata alla scelta, all’essere da una parte o dall’altra, lasciandosi guidare soltanto dalla sua intellettualità e dai valori elaborati nella durata del suo vissuto. Pereira che sorseggia limonate in una Lisbona soleggiata, il cielo fervido, rinfrescata dalla brezza atlantica, una Lisbona che ti invita a essere lì, nel solito caffè Orquìdea, a due passi dalla macelleria ebraica, tanto è vivamente evocata; e mentre il mondo gira tra rivolte, dittature e guerra civile (siamo nel 1938) lui, Pereira pensa alla morte e alla resurrezione della carne.
Come, pensò, se risorgo dovrò trovarmi con questa gente in paglietta? Pensò davvero di trovarsi con quella gente del panfilo in un porto non precisato dell’eternità. E l’eternità gli sembrò un luogo insopportabile oppresso da una cortina di calura nebbiosa, con gente che parlava in inglese e che faceva dei brindisi esclamando: oh oh!
Pereira è l’intellettuale che si chiede da che parte stare, se subire la Storia, se seguire le sue convinzioni alla luce non solo del vissuto, ma della sua condizione; è il pensiero che diventa scelta, azione, che non si ferma all’elucubrazione e, seppure la sua vita appare statica e legata a ricordi del passato, genera poi un movimento e una decisione operando un passaggio degno di ridisegnare la figura dell’intellettuale nella storia e nella società di quell’epoca.
Pereira pensò che il direttore non poteva cogliere il messaggio nella bottiglia, e si rallegrò con se stesso. In fondo quello era davvero un messaggio cifrato, e solo chi poteva ascoltarlo poteva riceverlo. Il direttore non poteva nè ascoltarlo nè riceverlo.
Rimasto vedovo, non spezza il filo del dialogo con sua moglie che lo rassicura dall’alto del suo ritratto incorniciato che lui, Pereira, a ogni occasione interpella lasciandosi talvolta rassicurare. Poche sono le sue frequentazioni: il direttore del giornale, che vede di rado e solo per motivi di lavoro, la portinaia Celeste, curiosa ficcanaso che prepara spesso per lui pasti fritti, poco adatti alla sua cardiopatia e alla sua obesità, il dottor Cardoso che lo illumina sulla teoria dell’io egemone e della confederazione delle anime e involontariamente stuzzica la sua riflessione, alimenta in qualche modo la sua scelta e infine Monteiro Rossi, giovane di origini italiane contattato come redattore di necrologi di autori celebri ma ancora in vita e figura fondamentale nel romanzo di Tabucchi e nel rapporto col protagonista Pereira.
I ricordi e la memoria del mediocre che è stato e il presente, la dittatura, la guerra, l’incontro con Monteiro Rossi uniti a un episodio forte, che la narrazione rivela, fanno di Pereira l’uomo che si riscatta, l’antieroe che trova la sua determinazione, la sua posizione ideologica e nel mondo.