Jay Gatsby, leggendario eroe di Francis Scott Fitzgerald, è il personaggio che solca la vita mondana della New York degli anni Venti, tra clamorose feste e giardini azzurri, tra champagne e stelle di notti estive consumate con gli ospiti della sua spiaggia e sui motoscafi che solcano lo stretto di Long Island. Nella cucina della sua casa lussuosissima c’è un macchinario che spreme duecento arance in mezz’ora e un maggiordomo che lo attiva schiacciando un piccolo bottone. Gatsby trasforma ogni quindici giorni l’enorme giardino della sua villa in un albero di Natale quando i suoi tavoli diventano una cascata di fette di prelibato prosciutto al forno e le insalate si presentano con disegni barocchi mentre accompagnano porcellini e tacchini ripieni. Buffet coreografici, indimenticabili. Gatsby è l’uomo che offre da bere il suo gin pregiato a ospiti spesso anonimi, che si affiancano alla lista dei suoi invitati, è la persona dall’oscuro passato, quello che durante le sue stesse feste sfarzose, qualcuno accusa di aver ucciso un uomo; è l’individuo che offre musica dal vivo nei suoi party pieni di colore, orchestre di fiati e vari strumenti, e che accoglie gente con abiti da sera lucidi e sete pregiate, persone che scintillano d’oro e pietre preziose mentre si muovono nelle forme precise della convenzione di quel mondo, di quella America razzista e perbenista, avida di denaro e di necessità di scalare verso il successo o verso una posizione sociale prestigiosa.
Un eroe annunciato, che aleggia nei primi due capitoli del romanzo senza presentarsi e che sopraggiunge, definito eppure pieno di mistero. Si fa descrivere e raccontare da Nick Carraway, voce narrante, reduce della Grande Guerra che dal Midwest si trasferisce a Long Island e diventa suo vicino di casa e poi suo amico, non a caso. Gatsby è il giovane uomo che ha dovuto lasciare andare una grande opportunità, l’amore per Daisy; finita la guerra vuole prendersi quello a cui ha rinunciato e ogni festa, ogni invito, la sua stessa sfarzosa casa, un palazzo con enorme piscina e venti ettari di giardino non sono altro che la costruzione di un regno dorato da mostrare al lontano amore perduto. Nel frattempo Daisy ha sposato Tom e con lui vive poco distante da Gatsby. Riesce ad avere un incontro con lei e con suo marito, riesce a frequentarli, ad avvicinare lei, che sente di amare profondamente. Si presenta a Nick, vicino di casa, ancora ignaro di chi sia lui, il grande Gatsby.
” Sono io Gastby, disse d’un tratto
“Cosa! ,esclamai. ” Oh, le chiedo scusa”.
“Credevo lo sapesse, vecchio mio. Temo di non essere un buon padrone di casa”.
Sorrise con aria comprensiva – molto più che comprensiva.
Era uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s’incontrano quattro o cinque volte nella vita. Fronteggiava – o sembrava fronteggiare – l’intero mondo esteriore per un istante, e poi si concentrava su di te con un irresistibile pregiudizio a tuo favore. Ti capiva fin dove volevi essere capito, credeva in te fin dove ti sarebbe piaciuto credere in te, e ti assicurava di avere ricevuto da te esattamente l’impressione migliore che speravi di dare. Precisamente in quell’istante svaniva – e io mi trovavo di fronte all’elegante proletario poco più che trentenne, la cui ricercatezza nel parlare sfiorava di poco il ridicolo. Già prima che si presentasse avevo avuto l’impressione che ricercasse con cura le parole.
Sullo sfondo, presente e attiva sulla scena del romanzo, l’alta società americana, i suoi comportamenti stereotipati, la presunzione del rango, della pelle bianca, della ricchezza in denaro.
Gatsby è l’uomo che non rinuncia al sogno, costi quel che costi. Affronta ogni cosa, persino il rapporto con la morte, pur di avere quello che desidera, pur di riprendersi il vuoto lasciato dal passato. Ma si può ricatturare il momento perduto? Si può risalire la corrente? E soprattutto: chi vince, chi esce vivo dal confronto tra classi sociali in un contesto in cui i valori passano attraverso condizione sociale e denaro?