Ho intervistato Carmela Scotti, finalista al premio Calvino con il romanzo L’Imperfetta, Garzanti, 2016.
Carmela Scotti e l’Imperfetta, tuo romanzo d’esordio. Quando hai incontrato per la prima volta la scrittura?
Non ricordo esattamente quando sia nato il mio amore per la scrittura; probabilmente è venuto al mondo con me, come una voglia sulla pelle, una compagna che non ne ha mai voluto sapere di abbandonarmi, e per tanti anni, i libri sono stati il mio mezzo di trasporto per andarmene lontano da una realtà che mi stava “stretta”. Sono cresciuta in un piccolissimo scantinato che dividevo con i miei genitori: un letto grande e una brandina incastrati sotto una finestra dalla quale vedevo solo le caviglie dei passanti. Ecco, io ho sostituito quella finestrella claustrofobica con la mia personale finestra panoramica: i libri, che mi hanno permesso di visitare luoghi, conoscere persone, pensieri, trame, vivere mille avventure senza mai muovermi da quello spazio angusto. Come dico sempre: chi legge vive molte vite, chi non legge, ne vive una sola, e anche male. Ecco perché ho cominciato a leggere fin da bambina, e non ho più smesso.
L’Imperfetta è stato finalista al premio Calvino, un premio importante per un’esordiente. Quanto questo premio ti ha cambiato la vita?
Arrivare in finale al Calvino è stato come trovare l’ultimo biglietto dorato per entrare nella fabbrica di cioccolata di Willy Wonka, e ancora non mi capacito che sia successo davvero, che un premio importante come questo abbia selezionato il mio fra i tantissimi manoscritti che approdano al concorso ogni anno. Dopo anni passati a bussare a porte chiuse a doppia mandata, a sentirmi dire dagli agenti che il libro non sarebbe mai arrivato da nessuna parte, ho mandato il romanzo al Premio Calvino credendoci così poco da essermene completamente scordata e da rischiare l’infarto quando arrivò la chiamata che annunciava la mia presenza tra i nove finalisti. Al Premio ho poi conosciuto la meravigliosa Elisabetta Migliavada, direttrice della narrativa Garzanti, che ha creduto da subito nel mio romanzo e l’ha preso per mano fino alla pubblicazione.
Cosa stai scoprendo di nuovo, cose che prima non immaginavi esistessero, del mondo culturale in cui ti muovi? Cosa significa essere una scrittrice oggi?
Dopo la pubblicazione sto scoprendo come funziona il mondo delle case editrici, quanto sia importante riuscire ad approdare, dopo tanto navigare a vista, in un posto dove il tuo lavoro viene considerato e rispettato, e dove si fa di tutto affinché le tue “fatiche” arrivino a quanti più lettori possibile, perché è quello il fine ultimo di tutto il lavoro che sta dietro la scrittura: arrivare al cuore dei lettori, far sì che il tuo libro si trasformi e si evolva in base al riscontro che la tua storia ottiene, al modo in cui viene “percepita”. Credo che essere una scrittrice oggi voglia dire assumersi la responsabilità di creare bellezza, di usare il proprio talento per costruire storie che sappiano coinvolgere il lettore, prenderlo per mano e convincerlo che, quello della lettura è un luogo bellissimo in cui abitare, e un dovere di tutti non disertarlo.
Sei diplomata in pittura e fotografia, la tua formazione artistica ti aiuta nella ideazione di una storia da raccontare o vivi i due mondi in modo separato?
Diciamo che la mia formazione artistica mi ha insegnato a “guardare” davvero il mondo, a vedere ciò che sta dietro l’apparenza. Soprattutto la fotografia mi è stata utile, perché mi ha insegnato ad isolare e individuare gli elementi chiave che, nel caos delle cose, rendono un’immagine unica, degna di essere immortalata in un attimo che dura per sempre. Questo sguardo “fotografico” mi piace applicarlo a ciò che mi circonda, per riuscire ad individuare qualcosa, un volto, una frase, una luce, che poi diventa il fulcro intorno al quale costruire una storia. Spesso basta l’espressione di un viso per mettere in moto qualcosa che poi, tassello dopo tassello, può diventare una storia da raccontare.
Il libro che porteresti sempre con te? Ne hai uno in particolare?
I Miserabili di Victor Hugo, un affresco mirabolante che ha la densità del mondo, che riesce a raccontare l’uomo e l’essenza di tutte le cose. Un libro che percorre le strade fangose e strette di una Parigi cenciosa come i suoi personaggi per arrivare sempre nello stesso punto: il cuore dell’uomo. «Esiste uno spettacolo più grande del mare, è il cielo» scriveva Hugo «esiste uno spettacolo più grande del cielo, è l’interno dell’anima».
Il libro che vorresti scrivere, ma che ancora è incompiuto dentro di te…
Non c’è un libro in particolare che vorrei scrivere, però vorrei continuare a raccontare storie, e magari trovarne una così potente da possedere la chiave per decifrare il mondo. Vorrei saper scrivere come Joyce Carol Oates o Cormac Mccarthy, e vorrei avere la capacità di Stephen King di creare storie che incantano e disorientano.
Di che genere di storie hanno bisogno i lettori, dal tuo punto di vista?
I lettori hanno diritto all’incanto che nasce dal talento, ad uno stordimento e ad un’estasi che solo uno scrittore dotato di capacità e di amore assoluto per la scrittura, è in grado di regalare. Ai lettori, a tutti noi, andrebbe risparmiato lo scempio della brutta scrittura, dell’improvvisazione non sorretta dalla tecnica e dal talento, perché anche la più appassionante delle storie è solo rumore di fondo fastidioso, se non si sa raccontarla. Bisognerebbe recuperare la capacità di discernere, nel mucchio del pattume narrativo che ci seppellisce, la bellezza della letteratura, e riportarla alla luce come un fossile prezioso. I lettori hanno bisogno di storie e di qualcuno che sappia ancora raccontarle.
Un suggerimento per chi ama scrivere ma ancora non ce la fa ad emergere.
Leggere, leggere, leggere, e leggere ancora. Evitare accuratamente di scrivere, fino a quando il mondo che hai dentro non è pronto per essere raccontato; fino a quando non avrai la certezza che le tue parole possano creare una crepa, anche piccola, nelle maglie della quotidianità.
Grazie Carmela, a presto.