- Anna Maria Curci, come si genera la scintilla della poesia?
Mi piace pensare alla celebre metafora di Friedrich Schiller che apre il suo Inno alla gioia, chiamata “bella scintilla degli dei”. Ecco, la poesia nasce, come una scintilla, da un attrito tra slancio (sogno, visione, desiderio) e urto (“le cose così come sono”, tutto ciò che accade, il dato determinato storicamente), che assume gradi diversi di intensità nella tensione tra due atti in direzione opposta: opporre resistenza e assecondare. La luce che ne sprigiona è, di volta in volta, differente nelle tonalità, unica nella scelta delle combinazioni.
- Tu pubblichi la prima raccolta di poesie intitolata Inciampi e marcapiano nel 2011 con LietoColle. A distanza di 11 anni quanto hai imparato scrivendo?
È bello che tu ricorra al verbo “imparare”, accesso a una dimensione di attesa, attenzione, spinta conoscitiva. È in questa dimensione che ho provato a imparare negli anni intercorsi tra Inciampi e marcapiano e Insorte, la mia raccolta che sta per essere pubblicata con la casa editrice Il Convivio. Se la scintilla della poesia nasce da un attrito, sta alla singola voce poetica assumere la responsabilità della ricerca di “frasi vere” (“Wir müssen wahre Sätze finden”, “Dobbiamo trovare frasi vere”, scriveva Ingeborg Bachmann). È una ricerca che passa per le strade della riflessione sulla natura della parola, sulle sue rivelazioni così come sulle sue trappole, sulla veridicità e sulla mendacità dei dispositivi linguistici. Lo studio filologico si accompagna a uno stato di veglia permanente circa le manipolazioni di termini d’uso, di imposizioni alla moda, di vere e proprie falsificazioni in bilico tra apparente sciatteria e sostanziale malafede, unita alla volontà di controllo e omologazione. Ne ho scritto in Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015) e recentemente nei miei appunti, intitolati Voi, parole e pubblicati sul blog “Lettere migranti”. Alla ricerca si accompagnano necessariamente l’ascolto e la lettura della parola degli altri, lo studio come passione, insieme a ciò che amo definire la “pratica devozionale” della traduzione, con tutti i rischi della precarietà e della continua messa a punto e messa alla prova che tale pratica comporta.
3. Le tue opere testimoniano l’attenzione per la ricerca stilistica e un lavoro sul ritmo e sulla musicalità:
Come un accento a voce claudicante/balza e s’arresta il limite del giorno./Taglieggia tra le sdrucciole e le piane/e tronca si riveste soluzione. (Da: Nei giorni per versi, editore Arcipelago itaca)
Qual è la tua posizione riguardo questo aspetto? Hai un ideale poetico oppure ti muovi di volta in volta per ri-scoprire la tua voce?
La poesia si manifesta e si offre allo sguardo altrui attraverso il testo. Questo rimane centrale, così come resta centrale la coscienza circa i limiti della lingua, circa l’incontro e lo scontro con l’ineffabile. Distinguere tra forma e contenuto nell’avvicinare un testo poetico è un procedimento fuorviante. La poesia è la sua forma, il testo poetico è corpo sonoro, si nutre e si compone, dunque, di elementi architettonici e di elementi musicali. Se la scintilla del poiein nasce da un attrito, da un atto di ribellione, da un tentativo di fuga, mi interessa esplorare come essa viene trasformata, resa parola-poesia, corpo sonoro, architettura musicale. Si tratta di un processo complesso perché arricchito dal combinarsi di fattori diversi – frequentazioni letterarie in termini di lettura e ascolto, predilezioni, intuizioni, traumi, lavoro paziente di passaggio dall’abbozzo al testo che viene ‘consegnato’ dopo essere stato ‘segnato’ – e che considero inseparabile da una apertura alla pluralità di modelli e di soluzioni. Dinanzi a tale pluralità, riconosco un solo discrimine, un nodo irriducibile secondo il quale la poesia autentica non può che provocare un cambiamento in chi la legge e l’ascolta così come in chi la scrive: «Quando mi troverai già sfilacciata/ dalla tua attesa inerte, mio poeta,/ bollandoti la fronte penserai/ che mai io sono innocua, io parola».
- Scrivi nella nota introduttiva
come le pagine di un diario, le quartine di Nei giorni per versi registrano ricordi, danno il conto di reazioni, provano a fissare sulla carta bellezza, sale o tocco ispido di un incontro
Come sei arrivata ad elaborare la scelta della quartina e a inserirla in un progetto che ha come peculiarità la regolarità della struttura e la coesione delle parti?
La quartina di endecasillabi è una forma nella quale il pensiero poetico si propone alla mia coscienza fin dalle prime battute. Per proseguire con la metafora iniziale; è già verso questa forma conclusa, dunque, che la scintilla si propaga e si configura. Il passaggio successivo, dalla spontaneità alla progettualità, è avvenuto in virtù della decisione di accogliere questa ‘gabbia’ compositiva per conferire continuità e coesione al dire poetico, per rendere i singoli appunti quotidiani, le ideali pagine di un romanzo, un unico corpus di “poesia e di esistenza”.
- In Opera incerta, edita da L’arcolaio, raccogli testi che hai scritto dal 2008 al 2019 ed elabori una scelta lontana da quella attuata in Nei giorni per versi; metti insieme, infatti, stili e contenuti diversi in vista di una comune opera eloquente. Come si sta modificando la tua poetica?
Cito, da Opera incerta, Huis clos: Mal destro condotto/ sbarra strada all’ascolto,/annoda e strozza ingenui/dispacci con l’esterno./C’è un tempo di usci chiusi,/uno di porte aperte./A metà strada indosso/bizzarro giustacuore.
Ritengo che il pericolo di conformismo, di chiusura, di torpore e annacquamento da un lato, di manipolazione e di retorica di propaganda dall’altro, si sia fatto sempre più evidente, ovviamente agli occhi di chi vuole vedere. I segnali di allarme sono stati lanciati, in un’Europa che si cullava nelle certezze del progresso e nei successi dell’imperialismo, fin dall’inizio del XX secolo, con il testo di Hugo von Hofmannsthal “Una lettera”, conosciuto come “Lettera di Lord Chandos”. Sono seguiti, nella letteratura e nella poesia di molti autori, di molte autrici, moniti, messe in guardia, confronti serrati sulla questione linguistica. Si potrebbe pensare che la poesia, letta e frequentata da un numero limitato di individui, renda sostanzialmente irrilevante il gesto poetico. Questo può essere vero se si pensa a cifre e percentuali, se ci si arrende alla logica imperante, se si cede – e la tentazione è forte – allo sconforto, non certo se si prova a resistere, con munizioni certo non convenzionali e che portano nomi fuori moda: ascolto, rispetto, bene comune. I nomi sono inattuali, la sostanza è impegnativa, giacché accoglie, contempla, prende in esame, confronta una pluralità di istanze, di modalità, di espressioni, nella storia, nella natura, nella letteratura. Nel tempo del lutto taciuto e negato, la voce poetica modula un canto che non dimentica.
- Che tipo di poesia ami leggere?
Non opero distinzioni di genere, al contrario la mia curiosità mi porta a camminare sulle strade della poesia di tutti i tempi, in tanti luoghi, tra i poeti lirici e i poeti tragici greci, tra i trovatori e le trobairitz, François Villon e Louise Labé, le poesie filosofiche di Schiller e l’amatissimo Hölderlin, anche quando questi si firmava, nella torre a Tubinga, “Scardanelli”, tra l’impressionismo di alcune poesie di Nietzsche e l’espressionismo di alcune poesie di Trakl, nella poesia-madreterra di Rose Ausländer, di Hilde Domin, di Jean-Claude Izzo, di Seamus Heaney, di Lutz Seiler, nella poesia dei dialetti d’Italia. Preferisco, se mi è possibile, leggere l’originale – per questo motivo amo le edizioni con il testo a fronte – e resta vivo il sogno di estendere la conoscenza ad altre lingue per poter ‘comprendere’ appieno il corpo sonoro di un gran numero di poesie. Ho menzionato qui una parte molto ridotta delle mie predilezioni, perché l’elenco delle voci poetiche a me care si estende e si approfondisce ogni giorno, tra lo studio della poesia del passato e la scoperta della poesia della immediata contemporaneità.
- Tre poeti imprescindibili…
Solo tre? La schiera è folta e ogni giorno, con la lettura e l’ascolto, essa si infittisce. Mi preme tuttavia menzionare tre voci poetiche, la cui frequentazione mi è cara, la cui verità e bellezza meriterebbero ben altra considerazione rispetto a quella ricevuta finora: Jolanda Insana («poi che alla poesia non c’è rimedio e chi ce l’ha se la gratta come rogna»), Marie Luise Kaschnitz, Heinz Czechowski.
- La poesia secondo te dovrebbe suggerire una chiave di lettura del mondo e una riflessione conoscitiva sulle persone, sui loro stati d’animo oppure cosa?
La poesia è, allo stesso tempo, risposta e proposta al mondo, rappresentazione – attraverso percezioni e riflessioni sugli “universali” – e “presentazione” di una realtà ‘altra’, di un mondo nuovo (“Letteratura come utopia”, Ingeborg Bachmann), che non dimentica mai, tuttavia, il nostro essere storicamente determinati (“Non ho fatto la storia, è stata la storia a fare me”, Heinz Czechowski).
- Dal tuo punto di vista la poesia contemporanea è contaminata (o quanto è contaminata) come succede per altri generi letterari, da Internet e dai nuovi linguaggi veicolati dai Social?
Mi occupo da qualche decennio, nell’ambito della ricerca-azione, di educazione plurilingue. Contaminazione e mescidanza sono per me, dunque, fenomeni meritevoli di una indagine accurata, per la quale è opportuno esercitare innanzitutto la facoltà di analizzare e di esplorare, prima e in via preferenziale rispetto alla formulazione di un giudizio di merito. Questo procedimento trova applicazione felice anche nell’ambito della poesia contemporanea e, come metodo, per tutta la poesia, che non può, in ogni epoca e a ogni latitudine, non risentire delle cosiddette “parole del tempo”. Chi ha nella lingua il proprio strumento espressivo, non può non avvertire i continui mutamenti nei diversi idiomi, in codici, termini e stilemi. Tuttavia, l’atteggiamento di fondo, al quale ho precedentemente accennato, deve essere da parte di chi scrive poesia quello di attenzione e ‘veglia’ su veridicità e mendacità della lingua. A questa attenzione, a questo stato di veglia, ai “sensi destati alla parola” (Reiner Kunze) è possibile collegare considerazioni su qualche ‘splendore’ (la possibilità di condivisione di termini oltre i confini nazionali) e sulla diffusa ‘miseria’ (appiattimento, forzatura, banalizzazione, rifiuto della complessità, globalizzazione del superficiale, in breve: omologazione eterodiretta) della lingua al tempo dei social.
- Mi piacerebbe concludere l’intervista citando un tuo testo al quale sei particolarmente legata o che ti piace far leggere. Cosa ci consigli?
Penso a del coltivare, con un sentimento di rimpianto e riconoscenza per Paola Caterina Mattioda, l’amica e collega scomparsa prematuramente, alla quale la poesia è dedicata.
del coltivare
per Paola
“compianto paradosso dello sprone”
e notti e giorni
e scostano le albe
le cicatrici
e le ferite fresche
che si alzi la cortina
manipola l’automa
la cura si rinnova
e la chiamiamo cruccio
la spupazziamo come Sommo Dolore
innamorati noi di noi dolenti
vela di nero specchi
vela immagini riflesse
bizzarra prescrizione un tempo aliena
dischiude il senso allora
travalica il confine
quel sorriso che piangevi perduto
dissoda zolla
cresca dal buio stelo
Grazie cara Anna Maria.
Biografia dell’autrice: nata a Roma, Anna Maria Curci insegna lingua e cultura tedesca in un liceo statale. Ha tradotto, tra l’altro, poesie di Lutz Seiler (La domenica pensavo a Dio/Sonntags dachte ich an Gott, Del Vecchio 2012), di Hilde Domin (Il coltello che ricorda, Del Vecchio 2016) e i romanzi Johanna (Del Vecchio 2014) e Pigafetta (Del Vecchio, 2021) di Felicitas Hoppe.
Ha pubblicato i volumi di poesia Inciampi e marcapiano (LietoColle 2011), Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015), Nei giorni per versi (Arcipelago itaca 2019), Opera incerta (L’arcolaio 2020). La raccolta “Insorte” è in via di pubblicazione (settembre 2022), con la casa editrice Il Convivio.