Intervista di Sonia Ciuffetelli a Marco Giovenale.
1. La nostra epoca segna un passaggio fondamentale nello sviluppo e nella trasformazione del testo poetico e del poeta stesso; viviamo nel processo che sta modificando l’approccio alla poesia e alla letteratura in generale, da lettori e da scrittori. Il nostro modo di pensare si sta modificando, l’uso della parola, da sempre circoscritto in una geografia della pagina e del testo dai precisi confini ora diventa liquido, si piega o no ai software che utilizza e nello stesso tempo continua a esistere nell’antica materialità del libro e della pagina cartacea. La convivenza di due modalità quasi opposte di concepire scritture e testi può renderci confusi…
Probabilmente è sempre stato così. Sempre c’è stato un divario tra il possibile della tecnica e il reale della quotidianità. E quando la tecnica entra nelle produzioni dell’immaginario (come forse in modo senza precedenti sta accadendo col digitale in tutte le sue forme) inevitabilmente travolge vecchie forme, ne crea di nuove, altre le muta. E mette tutti nella condizione di analfabeti al loro primo contatto con un’ondata di nuove parole. O meglio, di nuove percezioni della stessa semiosfera, intesa nella sua interezza, dunque anche nei suoi connotati extralinguistici.
In ogni caso: sono un convinto assertore (starei per scrivere fondatore, celiando) della teoria per cui la freccia causale va rovesciata. Mi spiego: non è – primariamente – la tecnologia a cambiare la società, bensì è una società già mutata in profondità a chiedere e realizzare, fabbricare di fatto, una tecnologia che ne interpreti le nuove esigenze.
Ovviamente, dopo, la tecnologia retroagisce, a sua volta, e riscrive e sovrascrive le esigenze che l’avevano generata. Certo. Ma queste ultime sono prioritarie.
Per il momento, credo siano ancora le persone e le loro vite a produrre desideri e percezioni che chiedono alla tecnica di interpretare.
2. Tra le questioni che caratterizzano il quadro della letteratura digitalizzata va valutata una non nuova asimmetria tra narrativa e poesia. Una storia narrata può declinarsi in più formati e raccontarsi in forma cinematografica o di fumetto, in pagina cartacea tradizionale, in videogioco e in serie tv. In Internet si ri-racconta la stessa storia in sembianze diverse. Nella logica del web 2.0 il lettore può diventare produttore di testi come nel caso delle fan fiction.
Ma la poesia no. Alla poesia non importa raccontare una storia, né può snaturare il suo significante che resta il valore primario. Dunque la poesia resiste alle modificazioni epocali del web? Oppure trova comunque le occasioni di trasformarsi rispetto al passato?
A mio avviso è pensabile non far riferimento più, per quanto riguarda alcune richieste che rivolgiamo alla letteratura, a quel luogo che ancora il Novecento chiamava (e in parte il XXI secolo chiama) “poesia”. Alla poesia si chiedevano determinati ritmi, una ricchezza fonosemantica, un accrescimento di conoscenza dato dal libero gioco degli enjambements, delle spezzature, delle omofonie e rime, una memorabilità. Da parecchio tempo, almeno sul piano della società reale, a queste esigenze rispondono canali più poveri di complessità e profondità, ma meglio distribuiti dal sistema capitalistico spettacolare, dai suoi canali d’intrattenimento generalisti. Parlo ovviamente delle canzoni, del rap, della trap.
Non dico alcunché di inedito, lo so.
La festa fonosemantica si è spostata altrove. Talvolta in rete, nel solipsismo dell’autore che si diletta, magari con sodali in gruppi ristretti o meno, a rimare e performare.
Penso sia così.
Ma se pensiamo a un luogo di costruzione e demolizione di quell’inafferrabile e insieme granitico senso-non-senso che costituisce il bello e il piacere del linguaggio scritto e parlato, e che edifica porzioni di tempo per noi abitabili e rinnovabili, ecco, forse possiamo rivolgerci anche ad altre forme e modi e luoghi dell’azione letteraria. Per esempio, lo dico da parecchio tempo, alle scritture di ricerca. Spesso intrecciate con altri supporti di quel medesimo senso-non-senso. Siano questi ultimi la sperimentazione sonora o visiva, o altro ancora.
3. La poesia oggi ha perduto l’antica caratteristica di letterarietà nella sua essenza ed è entrata in un dominio che la mette in relazione con le immagini e con la performance. La poesia è in questo senso davvero geneticamente modificata? Ha perso secondo te l’estetica della parola, la relazione con il contesto storico-letterario millenario?
Me lo domando. Però aggiungo: magari non è affatto un male che la poesia si liberi della sua antica attitudine ad uscirsene in pubblico alzando enfaticamente il cartello “Qui poesia”. In Italia forse i primi a pensarla in questo modo sono stati i Crepuscolari. Oggi un drappello neanche tanto sparuto di autori pensano che parlare di post-poesia abbia non poche ragioni da vendere.
4. “così invece se vi è accordo farei ora in vostra presenza una
CRISI DELLE GRANDI IDEOLOGIE
per dimostrare – davanti ai nostri graditi – che questo genere di crisi non
comporta nulla di
e si vive lo stesso […]” (Strettoie)
Ma cos’è questa crisi?
Nel libro si tratta di un gioco, uno scherzo (joke), centrato soprattutto sulla retorica della crisi, appunto. Da tempo sappiamo che la crisi è strutturale, inaggirabile. Ineliminabile in un sistema economico che prevede la roulette del rosso e del nero: se uno vince l’altro deve perdere, andare in crisi. E l’altro è sempre una moltitudine di altri. Per cui – si tratti di ideologie o di porzioni di benessere – è puerile fingere sorpresa per i crolli che di volta in volta si succedono sul teatro dello spettacolare avanzato. Di questo cerco di parlare anche in altri segmenti e ironie del libro Strettoie.
5. Cosa ti proponi di dire, di dare, di essere mentre scrivi poesie?
Nel corso del lavoro non ho un “fine” preciso. Continuo forse novecentescamente a credere che l’opera proceda per proprio conto, relativamente indifferente alla propria futura spendibilità sociale. Ai propri “obiettivi”.
E, più che ad essere, mi impegno del tutto naturalmente a non essere. Penso a scomparire dietro o dentro il soggetto di un inconscio che – per quanto possibile – tento di slogare e dislocare altrove, fuori di me. Fuori da ogni ipotesi psichica di (falsissima) solidità identitaria.
Lo specchio è sempre rotto, ammesso che si tratti di uno specchio. Quando si scrive è sempre una mano che se ne esce da dietro lo specchio, non da dentro. Butta giù la scena, la tela. Proprio da dietro: e dice “vedi? è uno specchio, non c’è niente dentro: è fatto apposta”.
6. La lettura delle tue poesie richiede la capacità di divincolarsi dalla tradizione assorbita. Uscire dalla metrica, uscire dalla poesia assoluta, incontaminata. I tuoi testi si fanno prosa, si fanno elenco, si fanno immagine filmica e ricerca linguistica. Mentre la forma deborda e sconfina dalla poesia alla prosa, il linguaggio prende in prestito parole appartenenti a linguaggi settoriali (le finche di uso burocratico, il particolato, di natura chimica)
“nel romanico, da dentro la volta di marmo-eco,/le due ellissi sono di lampade. Cacciano del giallo. Della luce/dietro i rombi di filo,/e le finche dal finestrone/raso basso. Il filo è sporco, anche, per il particolato.” (da Strettoie)
Non lo nego. Però non credo di essere particolarmente innovativo in questo, ossia nell’opzione per un vocabolario esteso. Nel secolo scorso, soprattutto Montale ha abituato i critici e i lettori a scorrere le opere dizionario alla mano. C’è stato addirittura chi ha compilato dei regesti di termini, utili alla comprensione delle sue pagine.
Buona parte del mio lavoro, in versi, sottolineo, viene dal dialogo, confronto e attraversamento dell’opera di Montale. Così, ad esempio, alcune movenze sintattiche. Con passaggi improvvisi dall’ipotassi alla paratassi, per esempio, o viceversa. In entrambi i casi per una sorta di attrazione/repulsione verso i percorsi di Montale.
7. La tua bibbia poetica? Il testo fondamentale, quello del primo innamoramento?
Sicuramente il Waste Land di Eliot. Nell’edizione uscita per Rizzoli nel 1986 (letta quindi a 17 anni) con il commento di Alessandro Serpieri, tutt’ora insuperato. Probabilmente insuperabile. Certo Eliot ha portato con sé il Montale dei primi tre libri, e leggevo in contemporanea Borges: che però in poesia ritengo un pessimo maestro, algidamente fermo sui simboli consueti (specchi, rose, polvere, labirinti e via così: che nella sua narrazione prendono ben altra vita).
Un altro testo per me fondamentale, rivoluzionante, non ha niente a che vedere con la poesia: si tratta di Estetica. Uno sguardo-attraverso, di Emilio Garroni, uscito per Garzanti nel 1993 e da me letto nel 1996, a dieci anni esatti dalla Terra desolata. Direi che dopo il 1986 “di Eliot” e il 1996 “di Garroni” non c’è stato niente di altrettanto (emotivamente) forte. Tutte le altre letture, prima e dopo, sono state importanti, e molte cruciali, formative, oggi definibili nodali (Woolf, Hofmannsthal, Joyce, Derrida, Deleuze, Duchamp, Vaccari, Barthes, Perec, Tarkos, Rosselli, Cixous eccetera eccetera): ma normalmente introiettate. Nessuna mi ha – diciamo così – disarcionato come le due appena indicate.
Un posto a parte riservo a Kafka: diciamo che è l’ossatura, statica, necessaria, di una formazione letteraria; almeno (sicuramente) della mia. Un classico, non un semplice “autore”. Kafka è come Sofocle. Con lui il tempo non funziona. Certi suoi frammenti possono essere spostati, pensati scritti, in qualsiasi punto degli ultimi millenni, e non si trova alcuna perdita di senso, alcuna contraddizione e stridio. Sono perfetti come sono. Corrispondono a una forma di anthropos che si riconosce immediatamente. Direi quasi che i suoi testi riguardano e per certi aspetti sono il dna della specie umana, per come questa è (o scrive di essere) dai Sumeri a oggi.
8. Leggi con piacere quali autori?
Quelli che non mi annoiano con i loro cartelli “Qui augusta poesia”, “Qui splendido romanzo”, “Qui affabulazione teatrale”.
9. A quale dei libri che hai scritto sei più vicino?
Per la poesia (+prosa in tutti i casi), sicuramente tre libri: La casa esposta (2007), Shelter (2010) e Strettoie (2017). Che non a caso sono anche quelli più citati, e che lettori e critici hanno più volte affrontato. Ma anche In rebus (2012). Poi ovviamente adesso sono interamente preso dal lavoro con la prosa in prosa, quindi Quasi tutti – nella versione ultima, ed. Miraggi – ha un posto al momento centrale. E verrà affiancato da altri libretti e libri, spero non troppo in là nei prossimi mesi o anni.
Vorrei poi che non si chiudesse la vicenda del libro Il paziente crede di essere, pubblicato da Gorilla Sapiens nel 2016. La casa editrice, ottima e coraggiosa ma proprio per questo penalizzata da un mercato assurdo, non c’è più. Sarebbe possibile accrescere l’edizione con nuovi testi, ma oggi scovare un editore che accolga con favore le prose brevi è più difficile di trovarne uno che pubblichi poesia. Appena una prosa breve entra in una redazione, tutti saltano sui tavoli, telefono alla mano, e chiamano ditte di disinfestazione.
BIOGRAFIA.
Marco Giovenale lavora come consulente editoriale, editor, curatore indipendente, lettore per case editrici, traduttore dall’inglese (ha avuto collaborazioni con Il Mulino, Ponte alle Grazie, Donzelli, Fazi, Salerno, Zanichelli), docente. Tiene corsi di letteratura presso la sede centrale dell’università popolare Upter, a Roma. Insegna Letteratura italiana contemporanea (specificamente poesia) presso la sede centrale dell’università popolare UPTER, dove è co-curatore del Centro di poesia e scritture contemporanee. Queste stesse attività riprenderanno presto in una ulteriore sede. Per le edizioni IkonaLíber è responsabile della collana di testi italiani SYN _ Scritture di ricerca.
I suoi libri più recenti sono, per la prosa, Quasi tutti (Miraggi, 2018; già Ed. Polimata, 2010), Il paziente crede di essere (Gorilla Sapiens, 2016), anachromisms (in inglese, Ahsahta Press, 2014); e, per la poesia, Strettoie (Arcipelago Itaca, 2017), Maniera nera (Aragno, collana ‘i domani’, 2015), Delvaux (Oèdipus, 2013), In rebus (Zona, collana Level 48, 2012; con i testi vincitori del Premio Antonio Delfini 2009 e altri inediti), Storia dei minuti (Transeuropa, 2010), Shelter (Donzelli, 2010), La casa esposta (Le Lettere, 2007, collana fuoriformato).
Una bibliografia – con otto ossidiane inedite – è Tagli / tmesi (La camera verde, 2013).
Ha fondato ed è redattore di GAMMM, sito di materiali sperimentali nato nel 2006. Dal 2003 al 2014 ha realizzato il foglio periodico di scritture «bina»; è poi del 2008 l’idea del blog ponte bianco, che però solo nel 2016 si realizza. Tra gli altri spazi in rete di cui è redattore: compostxt, innanzitutto (storico blog di Roberto Cavallera), e poi PlatformPLeE, SCRIPTjr.nl, Sibila. Collabora con le riviste Segno, e «l’immaginazione»; per quest’ultima cura (con gli altri di gammm) la rubrica gammmatica. Ha collaborato anche a recognitiones-ii.
Nel 2011 ha ideato e co-fondato il sito Punto critico, ora blog, di cui pure è redattore. Ha diretto dal 2013 al 2019 – ma impostando il lavoro anche per uscite e anni successivi – la collana bilingue (italiano/inglese) di ebook di poesia italiana contemporanea Logosfere, dell’editrice Zona / Quintadicopertina (primo titolo: Corrado Costa, The Complete Films and Other Texts, 2012). Per l’editrice La Colornese – Tielleci, ha co-diretto dal 2013 al 2016 la collana Benway Series.
Suoi testi sono comparsi su riviste come «il verri», «Poesia», «alfabeta2», «Nuovi Argomenti», «Rendiconti», «Semicerchio», «Lo straniero», «Atti impuri», «Il Caffè Illustrato», «l’immaginazione», «Levania», «Action Poétique», «Nioques», «OR», «OEI», «The new Review of Literature», «Aufgabe», «Capitalism Nature Socialism», «Lana Turner», 3AM (link1, link2), Lyrikline (e http://www.lyrikline.org/en/player/playautor/1242), «TRNSFR», «Moss Trill», SatisFiction, AlteredScale, ex-ex-lit, minor literature[s], On Barcelona, collagepoetry e varie altre. Ha collaborato con recensioni, fino al 2012, alle pagine culturali del «manifesto»; e – dal primo all’ultimo numero – ad «OR» (periodico di poesia e critica dell’Otis College of Arts and Design, Los Angeles).
Registrazioni audio e video di suoi testi sono nella sezione italiana (a c. di J.Scappettone) di PennSound: http://writing.upenn.edu/pennsound/x/Italiana.php.
Tra i libri recenti (qui un elenco completo): Numeri primi (Arcipelago, 2006), A gunless tea (Dusie, 2007), Criterio dei vetri (Oèdipus, 2007: cfr. qui), CDK (Tir aux pigeons, 2009), Soluzione della materia (La camera verde, 2009), Chalk (La camera verde, 2009), una semplice (issuu/compostxt, 2010), LIE LIE (La camera verde, 2010), Phobos (fogli Benway, 2014, con trad. franc. a cura di M.Zaffarano), Numeri morali 2006-14 (gammm ebook, 2014). Un ‘found text’ è inoltre white while (pubblicato da Gauss PDF nel settembre 2014: http://www.gauss-pdf.com/post/98317758615/gpdf131-marco-giovenale-white-while).
Poesie e prose sono antologizzate in Parola plurale (Sossella, 2005), Nono quaderno di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2007), nell’antologia del Premio Antonio Delfini 2009, in Poeti degli anni Zero (Ponte Sisto, 2011), Nuovi oggettivisti (Loffredo, 2013; ora esaurito), Roman poetry festival (Ponte Sisto, 2019). Con i redattori di gammm.org è nel volume collettivo Prosa in prosa (Le Lettere, 2009, collana fuoriformato).
Per Sossella ha curato nel 2008 la ampia raccolta antologica di Roberto Roversi, Tre poesie e alcune prose. Per la Camera verde ha tradotto, nel 2014, Billy the kid, di Jack Spicer (a cura di Paul Vangelisti).
Nel luglio-agosto 2010 ha creato un asemic googlegroup, il blog aggregatore du-champ (con oltre duemila siti e blog di arte e scrittura sperimentale mappati), il blog individuale/collettivo exp-net, e lo spazio online + idea + pratica della installance. Nel maggio 2011 ha avviato sia http://asemicnet.blogspot.com, sia il blog italiano di ricerca eexxiitt, legato a una pagina facebook e ad un googlegroup (dalle idee di fondo di eexxiitt verrà il primo incontro EX.IT di Albinea: aprile 2013). Sempre nel maggio 2011 prende parte al Bury Text Festival (Manchester, a cura di T. Trehy). Un’intervista in tema di asemic writing (accompagnata da 8 asemic poems) è in 3AM Magazine, The Maintenant Series #65, 15 giugno 2011, a cura di Steven Fowler. Una lunga intervista del maggio 2011 (su Shelter e La casa esposta), a cura del sito Lo spazio esposto, è in rete: visibile a partire dai link qui raccolti. Da giugno 2011 dieci poesie da Criterio dei vetri (registrate nel 2010 al Festival di poesia di Berlino) sono leggibili e ascoltabili in Lyrikline (link 1, link 2; con alcune traduzioni in inglese e in spagnolo).
Notizie su mostre, installazioni, attività artistiche, libri di sibille asemantiche, ecc.: qui. Sibille asemantiche sono in vendita in https://www.facebook.com/pages/Future-Script-Gallery/168021229902844.
Libri di asemic writing: Sibille asemantiche (La camera verde, 2008), this is visual poetry (2011), Asemic Sibyls (Red Fox Press, 2013), Syn sybilles (La camera verde, 2013), Asemic Encyclopaedia (IkonaLíber, 2019), Glitchasemics (Post-Asemic Press, 2020).
La sua pagina web principale è SLOWFORWARD, anche su facebook, qui. Testi critici accessibili da http://uniroma1.academia.edu/MarcoGiovenale.