Intervista a Giorgio Linguaglossa

Intervista a Giorgio Linguaglossa

Intervista a Giorgio Linguaglossa di Sonia Ciuffetelli

Cosa vuol dire per te fare poesia?

Fare poesia per me equivale a fare ricerca.

Quanto la ricerca della contemporaneità entra nei tuoi versi, quanta parte della tradizione condiziona la tua poetica?

Per rispondere dovremmo prima capire che cos’è la «contemporaneità». Non è così facile né scontato capire il contemporaneo, ed essere contemporanei. Nella mia poesia intendo incontrare e proseguire la tradizione critica. Non ha alcun senso parlare di «tradizione» in accezione generica. Ha senso invece ritagliarsi una tradizione e continuare il percorso di quella tradizione.

 

Rispetto agli altri generi letterari la poesia risulta essere meno contaminata, nel senso che i linguaggi e le immagini tipiche delle arti visive, i ritmi e i tempi del web e delle serie tv  incidono forse superficialmente nel fare poetico. Il linguaggio, portato alla sua massima estensione, preserva la poesia da intromissioni che ne scalfiscono la natura. La poesia non racconta una storia, come fanno il romanzo, il cinema o la televisione e lavora sulla cortina della forma retorico- stilistica, vera scorza contro la contaminazione eccessiva di altre arti contemporanee.

 

  La poesia vive, si nutre della «contaminazione», altrimenti sarebbe sesso degli angeli o chiacchiera, come purtroppo avviene nella stragrandissima maggioranza dei casi. La «nuova poesia» della «nuova ontologia estetica» nella quale sono personalmente impegnato intende percorrere la via della contaminazione, della interferenza, dell’entanglement, della peritropè. Il «polittico» è un «sistema instabile» e contaminato in sommo grado.

La nuova poesia della nuova ontologia estetica è attraversata da forze trasversali e centripete che conducono la forma-poesia verso la soluzione del «polittico». Nel «polittico» queste linee di forza possono trovare una coabitazione, non dico una soluzione, ma, almeno una provvisoria com-posizione tra equilibri divergenti e dissonanti.
In fin dei conti, il «polittico» è un «sistema instabile» e contaminato in sommo grado, formato da una materia verbale e iconica altamente infiammabile…

È necessario non cessare mai di problematizzare la soggettività, anche e sopratutto quando gli esiti di questa operazione critica ci conducono lontano da quelle che sembravano le nostre certezze. La soggettività, come la sfera della «verità» e quella del «gioco», è una questione politica, è una costruzione della polis; ed è ovvia la considerazione secondo cui la soggettività nel «polittico» sia cosa diversissima dalla soggettività come quella che vediamo in opera nella poesia del Bertolucci de La camera da letto (1984 e 1988) o del Fortini di Composita solvantur (1995). È ovvio che ogni forma poetica adotta un determinato paradigma della soggettività, quello che consente una migliore omogeneizzazione, rebus sic stantibus, delle linee di forza stilistiche di un campo di forze storiche.

In fin dei conti, il «polittico» è un sistema di sovra impressione di segni sul corpo martoriato e finito della tradizionale poesia del panopticon della tradizione elegiaca del novecento. Nella forma-polittico è scomparso l’io panopticon, l’io plenipotenziario che ordina il logos. Il «polittico» è un sistema di segni che si presenta tale che, per apparire, non deve essere affatto visibile. Il trucco c’è ma non deve essere visibile, in tal modo appare alla luce della visibilità come un mero fenomeno della natura.

La forma-poesia del «polittico» racconta anch’essa una «storia», ma, appunto, è il modus, sono le categorie che reggono il «racconto della storia» a fare la differenza. La de-fondamentalizzazione dell’io, la de-fondamentalizzazione del linguaggio, l’entanglement, l’interferenza, la peritropè, il salto spazio-temporale, la distopia, la dis-fania, la diafania, la inte-rfania, il tempo interno, lo spazio interno, il racconto che va per le linee interne, lo spaesamento, l’estraneazione… sono le nuove categorie che sono state investigate dalla «nuova ontologia estetica». È l’impiego della nuove categorie ciò che fa la differenza. Nella rivista on line lombradelleparole.wordpress.com abbiamo investigato i segreti della «nuova ontologia estetica» e del «polittico» in lungo e in largo, chi voglia approfondire queste questioni non deve fare altro che navigare in quel blog.

«Il trucco è l’arte di mostrarsi dietro una maschera senza portarne una», scrive Charles Baudelaire. Nel suo Éloge du maquillage (1863), indica, infatti, la necessità di utilizzare i mezzi della trasfigurazione per ricercare una bellezza che possa diventare artificio, mero artificio prodotto da un homo Artifex, ultima emanazione dell’homo Super Faber, Super Sapiens.

Il «polittico» è il nuovo, originalissimo, modo di pensare il «politico» oggi, cor-risponde agli «spazi interamente de-politicizzati delle società moderne» ad economia globale (Giorgio Agamben), è quindi una forma d’arte integralmente politica, che fa della politica estetica, che ritorna a fare della politica estetica, cioè un’arte della polis per la polis. Il «polittico» è un «sistema instabile» che congloba in sé assiomi, fake news, cialtroneria da baraccone, frasi populistiche, frasari impropri, fraseologie ultronee, infingarde… ipoverità e ipoverismo, nel senso che non si tratta più di verità ma di ipoverità ciò con cui abbiamo a che fare. Anche le installazioni della Biennale d’Arte di Venezia del 2019 vedono il trionfo della tecnica come mezzo e fine della fake new, della ipoverità, dello choc, degli effetti speciali…

La globalizzazione ha degli effetti sulla forma-poesia di oggi?

La globalizzazione è un processo ancipite, in cui agiscono vettori anche contrastanti: non vi è solo sconfinamento e apertura al globo, ma vi operano anche dinamiche di collocazione e localizzazione. Ci si muove nel quadro dell’Europa, che di per sé è uno spazio impensabile non prescindendo ma grazie ai conflitti che necessariamente ci sono. Le assonanze, le linee di convergenza tra le varie tradizioni presentano la peculiarità di essere in se stesse complesse. Non esiste, in questo senso, «una filosofia europea» e una «poesia europea», ma «la poesia europea» in quanto oggi può esistere soltanto ciò che ha una cognizione del quadro storico-stilistico europeo. Pensare ancora in termini di una «poesia italiana» che si muova nell’orbita: dalle Alpi al mare Jonio, permettimi di dirlo, è una bojata pazzesca. La globalizzazione è un processo macro storico che attecchisce anche alla poesia.

Oggi si richiede la ri-concettualizzazione del paradigma del politico e del paradigma politico-estetico che è stata operata nel novecento da ottiche differenti; oggi si richiede la convergente fuoriuscita dallo schema classico: Avanguardia-Retroguardia, Poesia lirica-Poesia post-lirica. Oggi occorre ri-concettualizzare e ri-fondamentalizzare il campo di forze denominato «poesia» come un «campo aperto» dove si confrontano e si combattono linee di forza divergenti fino a ieri sconosciute, linee di forza che richiedono la adozione di un «Nuovo Paradigma» che metta definitivamente nel cassetto dei numismatici la forma-poesia dell’io panopticon della poesia lirica e anti-lirica, Avanguardia-Retroguardia. Da Montale a Fortini è tutto un arco di pensiero poetico che occorre dis-mettere per ri-fondare una Nuova Ragione pensante del poetico. Dopo Fortini, l’ultimo poeta pensante del novecento, la poesia italiana è rimasta orfana di un poeta pensatore, un poeta in grado di pensare le categorie del pensiero poetico del presente. Quello che oggi occorre fare è riprendere a ri-concettualizzare le forme del pensiero poetico del presente. Dopo Fortini, la resa dei conti poetica è rimasta in sospeso e attende ancora una soluzione.

 

Cosa ci stai dicendo con i tuoi versi, cosa vuoi evocare?

Non è importante quello che io voglio comunicare ma quello che il lettore recepisce.

 

Che ruolo hanno i blog letterari e le riviste on line per la diffusione della poesia contemporanea e per la divulgazione del pensiero critico?

I blog letterari e le riviste on line non possono che fare da cassa di risonanza del conformismo globale in base al principio dell’homoiosis o dei vasi comunicanti.

Attraversare la materia e i suoi stati, essere nella materia. Alcune delle tue poesie parlano di cielo e terra, di acqua e di vita-morte. Parli di materia equorea: aggettivo sonoro, pieno, da aequoreus (relativo al mare) e derivato di aequor, cioè mare (distesa uguale) e derivato ancora prima da aequus, cioè uguale. Quanto lavoro fai sulla scelta lessicale? O sono le parole a raggiungerti, dopo averle conosciute, usate, metabolizzate?  Inoltre,nei tuoi scritti molti sono i riferimenti alla mitologia (Icaro e Odisseo solo per fare pochi esempi) e alla storia (Ai remi della nave ammiraglia di Antonio), alla Divina Commedia (Caronte e lo Stige). Se dovessi salvare un mito su tutti, una storia esemplare per gli uomini di ogni tempo, quale salveresti?

Tu sollevi qui una questione gigantesca: il ruolo e la funzione che il tempo e lo spazio hanno nella fondazione della «memoria», e come questa memoria fitta di tempo e di spazio entri nella forma-poesia. Hai toccato un punto cruciale della nuova poesia, che chiamiamo la «nuova fenomenologia estetica» come dice Petr Kral o «nuova ontologia estetica», come diciamo noi. La cosa non cambia granché.

E qui entriamo in una materia incandescente: la «cattività della memoria» ed i suoi «tormenti». Io, ad esempio, mi sento libero da qualsiasi «tormento» della «memoria». Negli ultimi due giorni sono stato tormentato dalla mancanza di un ricordo, non ricordavo il nome di un mio carissimo amico morto di cancro venti anni fa. Ho telefonato ad un amico comune che me lo ha detto. Incredibile, qualcuno aveva cancellato dalla mia memoria quel nome, proprio il nome di un carissimo amico. Perché? Perché proprio lui e non altri? In realtà, in questi ultimi anni sono stato letteralmente soverchiato dalla dimenticanza della memoria; tendo a non ricordare nulla, o meglio, c’è qualcuno nella mia mente che mi sottrae furtivamente i ricordi dalla memoria, e così sono costantemente impegnato a ricostruire con la volontà quel po’ di memoria che mi resta… no, no, tranquilli non è l’Alzheimer, è l’oblio della memoria che mi ossessiona. Ho questa malattia. Penso che vivo in un tempo che fabbrica su scala industriale questa malattia. E il bello è che gli altri uomini non se ne accorgono, o fingono di non accorgersene. La mia poesia di questi ultimi dieci anni è governata da questa categoria, o malattia, dall’oblio della memoria, non posso farci niente per arrestare questo sisma 9 della scala Mercalli.

Il poeta Gino Rago ha scritto: «Dimmi che uso fai del tempo e dello spazio e ti dirò che poesia scrivi». È profondamente vera questa massima. La Musa è figlia di Mnemosine, questo i greci ce l’hanno insegnato… senza memoria si scrive sull’acqua. Quelle che si scrivono oggi sono poesie scritte sull’acqua, non basta mettere in fila delle parole per fare poesia; se la poesia non contiene la memoria, è aria fritta, parole in libero soggiorno.

Nella poesia del Novecento, ad esempio in quella di Zanzotto fino a quella di Antonio Riccardi, la memoria c’è ma come un fondale sul quale si stagliano gli eventi della memoria. Qui la memoria è ancora integra!, come fondale fisso, ancora non colpita dalla febbre dell’oblio della memoria. Di frequente, cito la poesia di Brodskij Lettera a Telemaco del 1972, lì c’è l’albeggiare di questa terribile sindrome che ha invaso silenziosamente il mondo moderno e gli uomini del nostro tempo. Sono passati davvero molti anni e la malattia si è aggravata. Così, io ogni giorno sono costretto a recuperare i miei ricordi, a passarli in rassegna, uno ad uno, per non perderli. La mia poesia non è altro che la registrazione in parole sulla carta di questa costante perdita di tracce. Anche il primo libro Uccelli (1992), a rileggerlo oggi, reca vistose tracce di questo esantema della memoria che si disfa lentamente, poi, sempre più velocemente…

 

Giochiamo un po’ se vuoi. Se tu fossi un aggettivo come ti chiameresti?

Inter-fanico.

 

E se fossi una poesia, quale saresti?

Questa:

Stanza n. 77

 

Requiem per Alfredo de Palchi

 

 

Pioggia. Una porta chiusa. Stanza n. 77. Squillo. Nessuno risponde.

Premo il campanello. Ripetutamente.

 

Eredia dice: «Faust chiama Mefistofele per una metastasi».1

Il mago Woland prepara la scena del circo.

 

  1. sortì fuori dall’apriscatole con una redingote nuova di zecca

e si infilò nel collo di bottiglia di un rosso Chianti, cantina Conte Ricasoli.

 

«Veda, Cogito, il Principe di Homburg è un ciarlatano», mi dice.

«Buongiorno, Vostra Maestà», rispose il poeta all’ospite del sonno.

 

Una crossdresser mi sorride da un videoclip di Facebook.

«Non penso, dunque sono», mi dice,

 

«340 034 1721. È il mio numero, Wind-Tre, mi chiami

per un appuntamento».

 

“Stanza 77, le gambe delle donne” penso un retro pensiero

che si dilegua.

 

[…]

 

Il pappagallo verdeazzurro sull’asse ripete quelle parole:

«Veda, Cogito, il Principe di Homburg è un ciarlatano!».

 

Il commissario perimetra la scena del delitto

con delle bandierine colorate.

 

“La Dama Rossa uccide sette volte”, film del 1972, con la bellissima

Barbara Bouchet.

 

Un carosello di delitti in un castello incantato abitato da fantasmi.

Il Signor K. va a vedere il film,

 

e si innamora della protagonista femminile.

 

«È lui la Dama Rossa! È lui l’assassino!», grida il commissario.

«Ogni cento anni la “Dama Rossa” torna in un castello della Germania,

ripete i misfatti iniziati alcuni secoli fa…», mentre il pappagallo grida:

«Il Principe di Homburg è un ciarlatano!».

Cogito si invaghisce della Dama Rossa, le regala la borsa di coccodrillo

di Marie Laure Colasson, la quale si rivolge al mago Woland

 

Per tornarne in possesso, ma invano, perché il mago

è deceduto, secoli fa,

Pugnalato alle spalle dall’androgino Achamoth con le giarrettiere e il perizoma…

e allora la Colasson dipinge un polittico,

Per dispetto, per amore, per rabbia, disperazione…

Io esito, torno indietro, faccio un passo in avanti e uno all’indietro…

 

[…]

 

Esco dal tempo. Rientro nel tempo. Nel presente.

Assente.

 

Notte. Pioggia. Ombrello. Sotto l’ombrello, il cappello. K.

«Le parole tradiscono le parole», dice il Signor K. a Cogito.

 

«All’improvviso, mi sono affacciato alla finestra per vedere se il vento era sempre là».2

Quando mi sono voltato Woland era scomparso.

 

C’era una tigre in corridoio, un pianoforte, le forbici sul pianoforte,

la coda della redingote del Signor K. che si agitava…

 

E la musica uccideva tutti gli uccelli…

Quella porta era sempre chiusa. E io non avevo mai provato ad uscire da quella porta.

 

[…]

 

All’improvviso, Eredia mi ha detto: «Nessuno può scrivere la propria morte»,

«Ma io sono morto, un morto sì che lo può», ho replicato.

 

Allora il commissario mi ha domandato:

«Chi è Eredia?»

«Eredia è un personaggio inventato, non esiste»

«La tigre, il pianoforte, gli uccelli?»

«Fantasmi, sono solo fantasmi. Loro non sono colpevoli»

«E allora, apra la porta. Apra quella porta!»

«Ma non c’è nessuna porta qui, è solo una mia fantasia…»

 

Fu così che ho aperto quella porta. Ma non c’era nulla, proprio nulla.

Forse all’improvviso qualcuno ha cancellato la poesia…

 

Ed io ho dimenticato di aver scritto la poesia,

ho dimenticato di esser morto tanto tempo fa.

 

Il mago Woland mi ha fatto resuscitare, in carne ed ossa.

E adesso sono qui. Nel presente.

 

Assente.

 

 

1 Titolo di un libro di poesia di Francesco Paolo Intini, pubblicato nel 2020

2 frase tratta dal romanzo di Agota Kristof, Ieri, trad. Marco Lodoli, Einaudi, 2002, p. 5

 

E se infine dovessi trasformarti in un libro, che libro saresti?

 Il mio prossimo libro ancora inedito, dal titolo: Risposta del Signor Cogito

Grazie Giorgio e a presto.

Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma (via Pietro Giordani, 18 – 00145). Di genitori siciliani, nella sua stirpe convivono tracce degli antichi colonizzatori della Sicilia: fenici, cartaginesi, greci, siculi, spagnoli, francesi, arabi. Ha una laurea in Lettere. Per la poesia ha pubblicato nel 1992 pubblica Uccelli (Scettro del Re) e nel 2000 Paradiso (Libreria Croce). Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Georg Trakl. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, insieme a Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte (Libreria Croce, Roma). Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto (LietoColle).

Per la saggistica nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980–2010) EdiLet, Roma, e il romanzo Ponzio Pilato, Mimesis, Milano. Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000–2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze. Nel 2015 escono La filosofia del tè (Istruzioni sull’uso dell’autenticità) Ensemble, Roma, e una antologia della propria poesia bilingue italiano/inglese Three Stills in the Frame. Selected poems (1986-2014) con Chelsea Editions, New York. Nel 2016 pubblica il romanzo 248 giorni con Achille e la Tartaruga. Nel 2017 esce la monografia critica su Alfredo de Palchi, La poesia di Alfredo de Palchi (Progetto Cultura, Roma) e nel 2018 il saggio Critica della ragione sufficiente e la silloge di poesia Il tedio di Dio, con Progetto Cultura di Roma.  Ha curato l’antologia bilingue, ital/inglese How The Trojan War Ended I Don’t Remember, Chelsea Editions, New York, 2019

Nel 2014 fonda la rivista telematica lombradelleparole.wordpress.com  con la quale, insieme ad altri poeti, ha lanciato  una nouvelle vague, un nuovo modo di pensare la poesia denominata: Nuova Ontologia Estetica. Dalla ontologia negativa di Heidegger alla ontologia positiva della filosofia di oggi,  cioè un nuovo paradigma per una poesia della nuova civiltà telematica che teorizza la dissoluzione dell’io, l’enunciato poetico nella forma del frammento e del polittico, ovvero, una poesia che contempli la contemporaneità e la  molteplicità di tempi e di spazi entro una unica cornice di poesia. Una forma-poesia come cornice di una molteplicità di fotogrammi e di enunciati.