Ho intervistato per voi lettori Giovanna Cristina Vivinetto, giovane poeta siciliana, autrice del libro Dolore minimo, (editore Interlinea), opera prima che ha rivelato subito la potenza poetica dell’autrice: per la prima volta in Italia un libro di poesie affronta la complessa tematica della transessualità e lo fa senza i lacci della retorica, senza i toni dell’accusa o della melensaggine. Un’opera che attraversa la trasmutazione corporea e mentale della poeta, capace di evocare e descrivere il delicato passaggio identitario, la conquista del corpo desiderato e il senso claustrofobico dell’essere intrappolati in un corpo disconosciuto con la sapiente distanza di chi scrivendo condivide, include, persuade e il senso umano del vissuto personale.
Da: Dolore Minimo
La traccia del passaggio – mi dici –
da qui non si vede. Non è evidente.
Tu non sai, ma ci sono i solchi
estranei alla luce degli occhi.
benedico il tuo non comprendere,
l’innocenza con cui ti arresti
un poco prima del dolore
– l’istinto di tirarti fuori.
Non chiedere: non ho sintagmi
con cui adornare la realtà delle cose.
Non ho perifrasi per salvarmi.
La traccia del passaggio – non la vedi
perchè il mio sentiero è troppo
stretto per starci in due.
Giovanna Cristina Vivinetto
Il corpo conquistato. Sconfiggere il corpo primordiale, sacrificare il sesso per un altro sesso, per una diversa corporeità. È quanto evochi in alcuni dei tuoi versi, in particolare quando scrivi “l’immolazione al sesso/ fu sacrificio necessario/ per sbarazzarsi del corpo infetto. /Per rifondare bisognava/ usurpare, violare, sfigurare”.
In alcune poesie contenute in Dolore minimo, come in quella di cui hai citato i versi, l’imposizione di una corporeità nuova, altra, passa necessariamente attraverso la cifra dello strappo, ossia una dimensione di rinuncia che significa innanzitutto “sacrificare” (nel senso classico del termine) tutto ciò che vi era prima per poter ricominciare ex novo. Si tratta di un atto drastico, drammatico, senza possibilità di risoluzione. Fortunatamente, poi, dopo lo strappo, subentra la circolarità della comprensione che risana ogni ferita ed è lì, sulle cicatrici, che si muove la poesia con il passo benevolo di madre.
2. Quanto dista il tu a cui ti riferisci e con cui hai condiviso la prima parte della tua vita con il tu che oggi finalmente ti appartiene? C’è una distanza emotivo-psicologica-mentale tra quanto eri prima e quanto sei diventata?
Non c’è propriamente una distanza, né c’è mai stata; c’è stato, semmai, un muro – uno di quelli insormontabili con “in cima i cocci aguzzi di bottiglia”, per dirla con Montale – a dividere il sé più profondo da quello più appariscente. Con la transizione tutto questo è venuto meno: è stata una lenta decostruzione del muro, mattone dopo mattone, fino a intravedere una feritoia (termine che richiama la “ferita”: quella del mettersi in discussione), una breccia a tenere aperta ogni comunicazione, a far entrare la luce.
- Trasformarsi per essere se stessi o un altro da sé? Modificarsi. Il bruco diventa farfalla, passa da una forma imperfetta all’altra, diventa qualcosa di visibilmente diverso eppure conserva in sé qualcosa della sua natura…
Trasformarsi per essere il sé migliore nella migliore delle forme possibili.
- Morte e rinascita sono due dei temi che emergono dai tuoi versi. Parlerei anche di resurrezione. Violare, uccidere per risorgere. I riti di rinascita nelle società tribali partono dal processo di iniziazione. Solo quando l’iniziato è simbolicamente morto gli sarà concesso rinascere e conquistare il proprio ruolo nella società. A volte il soggetto con il nuovo ruolo assume anche un nuovo nome che ne determina la nuova identità. L’iniziazione è al contempo inizio e fine. Dolore minimo racconta il processo di conquista del proprio sé, il passaggio da una forma all’altra finalizzato anche all’ingresso nella collettività attraverso l’accettazione di te stessa e alla condivisione.
Proprio così, e non solo: Dolore minimo racconta la radice profonda del dolore causato da questo passaggio e la sua razionalizzazione, un’accettazione che significa innanzitutto comprendersi per quel che si è, avendo il coraggio di chiamarsi per nome, rifondarsi.
- I tuoi modelli letterari di riferimento. Cosa hai amato e ami leggere?
Quando ho iniziato a comporre Dolore minimo avevo ben impresse nella mente (e nel cuore) le suggestioni scaturite dalla lettura delle poesie di Wislawa Szymborsa: di lei mi colpì la chiarezza concettuale con cui riesce ad esprimere in poesia concetti profondissimi, la lievità che scava a fondo che solo un grande poeta riesce a trasmettere. Col tempo ho scoperto e approfondito i poeti italiani contemporanei: oggi amo molto i versi di Franco Buffoni (su cui, tra l’altro, mi sono laureata), Antonella Anedda, Alessandro Fo, Pierluigi Cappello, Vivian Lamarque, Mariangela Gualtieri, Maria Grazia Calandrone, Valerio Magrelli, Alberto Bertoni, Silvia Bre e diversi altri.
- Perché scrivi?
Scrivo per risolvere i conflitti, per pacificarli, per dimostrarmi che “quel mostro che in tanti anni / avevo allontanato, fu assai più / docile quando, abolite le catene, / lo presi infine per mano.”
- Il tuo sogno nel cassetto…
Essere la prima scrittrice transgender a vincere il premio Nobel per la letteratura (Ah ah ah ah!). Scherzi a parte: mi piacerebbe vivere e lavorare facendo quel che più mi piace e che più mi rende felice perché, in questo modo, non avrò lavorato per un solo giorno della mia vita.
Grazie, a presto.
Sonia Ciuffetelli