Scatto senza posa – incipit –

Scatto senza posa – incipit –

Scatto senza posa

di Sonia Ciuffetelli

Da: Alice nelle città. Per L’Aquila

a cura di Marianna De Lellis, Francesco Gianino, Adriana Iacono.

Edizioni Arkhè, L’Aquila, 2009.

 

Ci vedevamo a quel solito posto, fosse mattino, crepuscolo o notte. “Sotto casa o alla panchina”, così dicevamo; ed era spesso stranamente libera, come se fosse riservata a noi. Io mi sedevo, quando lei non era già seduta, ed aspettavo che scendesse. 

Ci eravamo conosciute al lavoro, eravamo state colleghe. Poi la frequentazione e la sintonia ci avevano fatto scoprire che le formalità nel nostro rapporto erano soltanto una perdita di tempo. Eravamo diventate amiche così, era come respirare aria salubre senza rendersene conto. Ci incontravamo lì, in quello spazio transennato da grandi fioriere a ciotola e piante ornamentali in quel perimetro di soli negozi e pedoni, in via Sallustio. E spesso le facevo notare che non poteva che abitare in una strada intitolata a un letterato, letterata lei e tutte i nostri discorsi sui libri, sui progetti culturali, sulle politiche sociali. La consuetudine ci aveva portato a tracciare itinerari, battuti da discorsi ora pacati ora infiammati, che parevano portarci lontano, oltre le mura. Via Patini e poi piazza Duomo dove si scorgevano i tramonti limpidi che ci facevano sostare sotto quello spicchio di cielo rosato. Restava fermo lì il crepuscolo, tra il campanile sinistro della chiesa di san Massimo e la Posta Centrale, il tempo di una chiacchierata, di una bozza di programma o di una polemica, per poi sfumare senza preavviso, cedendo il colore caldo alla sera bluastra e netta. Scorrevamo allora i portici del Corso, come fosse un doveroso atto di devozione, un rituale. Arrivavamo all’edificio della Biblioteca Provinciale e attraversavamo piazza Palazzo con quel Sallustio sempre discreto, eterno. Si passava al Farfarello, tanto per sbirciare chi ci fosse, si costeggiava palazzo Margherita e si faceva puntata alla libreria Colacchi.  Questo era soltanto uno degli itinerari. Ne avevamo almeno quattro, fissi, e una scorta di variazioni possibili per adattamento alle necessità del momento o all’umore della giornata. Conoscevamo i vicoli più ventosi e quelli più riparati […]

Questo racconto è davvero uno scatto senza posa. L’ho scritto in pochissime ore, su una scrivania traballante, di fortuna, dopo la fuga dal terremoto dell’Aquila. Le condizioni del momento e le necessarie priorità da rispettare non mi hanno dato la possibilità di revisionarlo. Eppure concentra tanta di quella vita e tanta di quella morte da pensare che nessun orpello, nessun editing, nessun turbamento concettuale – stilistico del giorno dopo avrebbero potuto conservare l’emozione di un attimo tanto forte e tanto vero.